Ortho-Bionomy®: L’energia del tocco

L'essere umano a confronto con ciò che è; in che senso è?
E' nella misura in cui definire di essere in uno specifico modo o condizione, si intenda come un mero fenomeno discorsivo, che non necessariamente corrisponde ad una realtà effettiva, stabile nel tempo, bensì descrittivo, rispetto alle intenzioni degli interlocutori in quella situazione. Gli esseri umani, o quantomeno la grande maggioranza di essi, si orientano nel tempo ad acquisire una serie di riferimenti, identitari, sociali, logistici, che confermano di volta in volta nell'interazione con gli altri, e che consentono loro di muoversi nel mondo con una certa praticità. Tuttavia, per quanto il processo di consolidamento proceda in modo analogico, accade che un'interferenza possa in un attimo rimescolare tutte le carte, rimettendo in discussione tutta la faccenda, per necessità o per scelta. Persone che per una malattia, per un incontro speciale, per la fine di una relazione, annullano delle prospettive a vantaggio di altre; storie che tutti abbiamo sentito e che in qualche modo ci hanno affascinato, perché sorprendenti e inaspettate. Siamo in costante interazione plastica con l'ambiente e l'esperienza in cui viviamo. "Sono in questo momento, nel prossimo non so che sarò"; colui il quale pronuncia la frase "Sono fatto così!", sancisce la propria volontà di rinunciare a tale possibilità di mutevolezza a vantaggio di una cronicità esistenziale ed esperienziale.
L'incontro nella stanza del psicoterapeuta, così come dell'ortobionomista, risulta pertanto un evento eccezionale ed esclusivo.
Nell'ineluttabile flusso del movimento della vita, in quel preciso, unico ed irripetibile momento, la persona si trova sul lettino/poltrona, nella sua integrità di mente, spirito, sentimenti, elementi biografici e di discendenza, riferimenti culturali e linguistici, relazioni e inequivocabilmente con il proprio corpo. Se l'incontro avesse luogo il mese precedente o successivo, non sarebbe esattamente lo stesso incontro, dato che la condizione umorale, fisica ecc. può cambiare già nell'arco di qualche ora. Questo è un aspetto fondamentale da tenere presente. Tener presente il presente. Siamo in continua e costante mutazione. Il corpo è una chiave di accesso a questa unicità, che talvolta viene dimenticato, sia esso inteso come una casa, un mezzo, un limite, una grande risorsa. Così come spesso ci si dimentica di avere una storia ed una identità intima e personale, perché siamo troppo impegnati a cambiare il più velocemente ed efficientemente possibile la divisa, intesa come ruolo sociale assunto in un contesto situazionale, da lavoratore, a genitore, a figlio, ad amico, a consumatore, a studente ecc. Non ci è dato il tempo di fermarci per parlare con noi stessi, e ascoltarci un pochino. Le parole creano mondi pieni di significato, per questa ragione l'interazione discorsiva nella terapia si svolge a 360 gradi, curiosità e immaginazione aiutano ad allargare la prospettiva, a balzare nel tempo, a stimolare racconti e ricordi, versioni alternative di sé, ad immaginare futuri possibili. Sulla base dei fenomeni di effetto placebo e nocebo, è imperativo avere presente quanto una diagnosi clinica in ambito organico e/o psicopatologico possa avere un effetto iatrogeno, ossia di amplificazione della condizione che definisce, come fosse il risultato di una prescrizione implicita. Tale è la realtà di coloro i quali si trovano attribuite etichette come depressione, disturbo d'ansia, disturbo da personalità borderline, oggi molto di moda. Parole che rappresentano chiaramente il pensiero dalle quali derivano, e che tuttavia raccontano poco dell'intimo esistenziale di un essere umano. Wittgenstein, noto filosofo del linguaggio austriaco, diceva "I limiti del tuo mondo sono i limiti del tuo linguaggio"; ciascuno ha una o più narrazioni su di sé, frutto della propria storia, del confronto con gli altri, dei personali dialoghi interni; quando queste arrivano a ruotare intorno ad un unico centro semantico, al ruolo sociale prescritto, ecco che si manifesta il tossico, il depresso, l'antisociale. Questo processo rischia seriamente di influenzare la relazione, laddove il professionista non sia in grado di trascendere le conoscenze tecniche e l'aspettativa/prescrizione sul fatto di essere uno "strumento di cura".
Che ruolo/ragion d'essere hanno pertanto i manuali per i professionisti? Le raccolte nosografico-diagnostiche (Manuale statistico-diagnostico per i disturbi psichiatrici), i protocolli terapeutici, l'EBM (Evidence Based Medicine). Nella migliore delle ipotesi, a fronte di un'attenta valutazione epistemologica a monte, potrebbero essere adottati come una fra le possibili mappe, senza tuttavia cadere nell'errore concettuale di considerarle corrispondenti alla realtà effettiva. Accade raramente purtroppo.
Molto più spesso, ed in modo sempre più dilagante, hanno l'effetto di annichilire l'unicità della persona, identificandola meramente in una serie di elementi sintomatologici; laddove si dovrebbe aprire un approfondimento, si chiude in un buio silenzio. La logica del profitto, orienta istituzioni ed aziende sanitarie alla standardizzazione della malattia così da standardizzarne la cura, e con ogni mezzo assumerne il monopolio. L'atteggiamento di umanità ed empatia, che un tempo erano fondamento della filosofia Ippocratica, considerati superflui da questa avidità mascherata da Progresso. Se il dito indica la luna lo stolto guarda il dito. Pertanto non esiste energia, perché non è contemplata, non esiste un tocco; il trattamento anziché emergere dalla sensibilità dell'interazione, nasce da un manuale tecnico-pratico.
Per un fenomeno di reazione, le così dette medicine alternative o complementari, soffiano verso un processo di umanizzazione della cura, sempre più desiderio collettivo sia della popolazione che degli operatori della salute, centrata esclusivamente sul presupposto di unicità della persona e pertanto del suo personale trattamento. Il dolore serve quindi a ricordarci che abbiamo un corpo e un'anima, e che prendersene cura è importante per vivere bene.
Che dire rispetto al Tocco e rispetto all'Energia?
Tocco: consapevole, competente, finalizzato, accogliente e attento. Quanto avviene in un tocco? Chi ne decide la direzione, l'intensità e la durata? Da dover trae origine?
Ho sentito dire che la lacrima contiene il principio omeopatico lenitivo per ciò che l'ha generata…lo trovo affascinante e poetico.
Se consideriamo una sofferenza fisica e/o psicologica come espressione di un disequilibrio, allora il tocco, la manovra, e l'energia che veicolano, derivano dalla sorgente, ossia potrebbero essere considerati come una proprietà intrinseca del dolore o della tensione stessa. L'altra faccia della medaglia, così come bene si descrive nel simbolo del Tao. Il tocco è insito nel disequilibrio, nella difficoltà; anche se avvertita come disturbante, contiene quel potenziale che chiede di essere liberato, e il potenziale è inteso come quel nucleo di energia stagnante, che necessita il ripristino del movimento verso una direzione. È nello svolgimento della narrazione della persona che si trovano le ragioni, le possibilità, le frontiere inespresse. In quel preciso momento. Perché andare da un professionista è un po' come un punto di partenza.
Quindi il compito di un terapeuta/terapista è creare le condizioni per lasciar emergere e liberare, laddove c'è ristagno, fisico, energetico, narrativo; nella misura in cui professionista e fruitore si pongono nell'ottica di una disponibile reciprocità, la manovra si rivela di per sé.
Possiamo dire pertanto che il fenomeno dell'interazione terapeutica necessita di questi presupposti e la manovra, sia essa verbale, fisica, energetica, può rivelarsi e accadere solo ed esclusivamente nel momento dell'incontro. Il trattamento assume la forma di una danza, nella quale al movimento dell'uno corrisponde in modo complementare e simultaneo il movimento dell'altro.
Lo strumento fondamentale non è la conoscenza, ma la relazione, nella disponibilità alla presenza e all'ascolto, disinteressato all'inquadramento diagnostico, bensì affamato di variazioni e alternative di movimento. Nella mia esperienza, questo stile di approccio è molto gradito dalle persone, sembra una semplice predisposizione, ma è anzi parte integrante del trattamento stesso. Nella realtà della dimensione umana non è possibile pensare ad una separazione, dentro una schiena dolente c'è sempre una storia, un flusso di eventi più o meno recenti dal quale proviene, evidenziarlo nel presente della persona ci consente di non essere parziali, di aver maggior capacità di lettura, di comprensione, e di azione.
Così come mi è stato insegnato, il terapeuta/terapista valido, non sa mai cosa fare quando riceve la persona, tabula rasa, semplicemente, con posizione neutrale, lascia che quanto deve accadere accada.
Fabio Cinque Psicoterapeuta e Operatore di Ortho-Bionomy®