La selvaticità è una posizione interiore

26.04.2025

La fitoalimurgia è la disciplina che studia e applica il riconoscimento e la cucina delle piante selvatiche. La prima domanda che mi viene fatta di solito è: "Perché proprio le piante selvatiche?"
La risposta è la stessa, unica ed inequivocabile: "Per un sacco di motivi!"
Il primo motivo è che le piante selvatiche sono gratis e costano giusto giusto la fatica di una rilassantissima passeggiata nei dolci rumori della mia amata campagna. Al contrario le orticole hanno un costo nemmeno troppo basso e soprattutto richiedono uno sforzo fisico non indifferente (l'orto da l'uomo morto!).
Parliamo inoltre di esseri che decidono dove nascere e quando nascere, pensate che un seme di papavero può aspettare fino a quarant'anni prima di germogliare. Me lo immagino il seme di papavero, che sta lì, fermo, in silenzio, con le stagioni che passano, per anni, lustri, generazioni, poi un giorno (che ne so…tipo dopo 35 anni) decide di nascere, campa sei mesi, molla dai diecimila ai ventimila semi e muore. Ci ha messo 35 anni per decidere di viversi quella vita di qualche mese, come se morire dopo aver compiuto il ciclo vitale fosse normale. Aspetta dimenticavo…invece è normale.
Le erbe selvagge non sono accudite, vivono, crescono e si riproducono alla mercè delle intemperie e degli eventi fortuiti (sostanze chimiche, animali…) eppure sono molto più ricche di sostanze nutritive delle loro cugine orticole. Che cosa le rende così preziose da un punto di vista nutrizionale? Esattamente ciò che noi detestiamo nella vita: lo stress.
Siamo abituati a pensare allo stress i termini di "stressors" in realtà potremmo anche inquadrarlo semplicemente come quella serie di stimoli che, inducendo una risposta da parte dell'organismo, lo aiuta ad acquisire competenze utili per la gestione degli eventi quotidiani.
Si parla in genere di eustress e distress ma io dopo anni di studio di classificazioni di ogni genere sono stanca di catalogare le parole. Credo anche che il problema in realtà sia dato da quali sono le condizioni in cui ci troviamo quando l'evento stressante entra in gioco. Se è vero che quel seme di papavero ha scelto di germogliare in quel preciso momento, sarà anche vero che quello è il contesto in cui ha deciso di vivere la pianta, anche se non è detto che le condizioni ambientali siano ottimali durante tutto il suo ciclo vitale.
Quindi la pianta attua dei meccanismi di risposta "automatici", o forse meglio dire naturali, al fine di acquisire esperienza e competenze per gestire in futuro situazioni analoghe. Strategie che possono essere per esempio la produzione di sostanze atte a proteggersi dall' attacco di parassiti o da alcune stimolazioni meccaniche. Ci avete fatto mai caso che per sentire l'odore di una foglia di una pianta aromatica bisogna stropicciarla (quindi stressarla)?
Quella foglia stropicciata tirerà fuori tutto il suo aroma e quindi il meglio di sè e noi godremo del suo profumo. Come quando camminiamo in un prato e ad un tratto sentiamo l'odore della mentuccia. La mentuccia è una pianta che si fa i fatti suoi, ha foglie piccole e rimane umile nelle dimensioni, ma quando la calpestiamo no! Quando la calpestiamo protesta con fermezza emanando questo caratteristico e meraviglioso profumo che tanto ci piace nella frittata.
Dopo il nostro passaggio la mentuccia continuerà nelle sue giornate con la semplicità che la contraddistingue, continuerà a protestare contro la volpe che passa di notte, contro la pecora che bruca ma mai, proprio mai, contro la vita che l'ha fatta soffrire. L'accettazione di ciò che accade è cosa spontanea e normale negli esseri inseriti in modo sano nel contesto in cui vivono. Non parliamo di un fenomeno passivo ma semplicemente quanto l'utilizzo della strategia che in quel momento sembra la migliore. In genere quella strategia diventa una ricchezza per tutti, perché può essere insegnata e condivisa nell'ambiente circostante creando competenze e benessere reciproco…un vero e proprio fenomeno culturale.
La mentuccia non pensa, non agisce, lei è mentuccia e fa il suo al momento giusto. Che meraviglia! Quale lezione di vita possiamo imparare da un rametto di foglioline piccole e pelosette!
Il Sonchus asper invece si spara le pose, si finge pungente come prima tattica di difesa ma se lo tocchi ti accorgi che era tutta una scena. Tu lo raccogli, lo assaggi e come seconda tattica rilascia l'amaro in bocca (come suo cugino il Tarassaco) ma aimè, come per le medicine di quando eravamo bambini, è proprio l'amaro che ci cura e detossifica!
Il Cardo Mariano (Sylibum Marinum), perfetto nella sua forma e nel suo disegno, è intoccabile anche con dei guanti da lavoro professionali. Se vi avvicinate però e cercate di guardare tra le foglie fitte vedrete decine di chiocciole e nidi di larve di insetti che approfittano dell'umidità che si accumula nella pianta e della protezione che le spine offrono loro.
La specie umana ha perso un po' la strada nella capacità di attuare queste strategie ed è per questo che ho riflettuto tanto su quella domanda: "perché proprio le selvatiche?". Nello studio delle piante e delle letture sugli animali selvatici quello che ho capito è che essere selvatici non significa per foza vivere nei boschi spogli di ogni avere. Essere selvatici per me significa riuscire a vivere in quel contesto che sentiamo nostro, riuscire ad avere un contatto sano con l'ambiente e gli esseri che ci circondano, al fine di poter fare di quel famoso stress un motivo di crescita interiore.